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IL CAMPO.


Un bel prato, piano, vasto, rettangolare, limitato ai quattro lati da un fosso e da una siepe, e folto d’erba e tempestato di margheritine. Al di là del fosso, dall’un dei lati, un fitto bosco di gelsi, di quercioli, di marruche, e più oltre, sporgente al di sopra di quella macchia, una collinetta a lento declive, bassa, verde e sparsa d’alberi e di casicciuole bianche. A mezzo della china, un gruppo di case più alte e d’aspetto più cittadino, e un campanile alto e leggero. Intorno intorno certi palazzotti azzurri e rossastri, e poggetti fioriti, e lunghi filari di pini, e gruppi di salici, e viali sabbiosi, serpeggianti, intersecati; e qua e là statuette candide e zampilli d’acqua mezzo nascosi fra gli alberi e i cespugli. Dinanzi a quel prato, lungo il lato opposto al bosco, corre una strada larga e rilevata, e gira intorno al folto degli alberi, e ascende, su per la collina, al villaggio. In quel prato ha posto le tende un reggimento.

Poniamoci su quella strada e guardiamo quel campo. Cominciando a venti passi dal fosso, fino all’opposto limite del prato, otto lunghi ordini di tende, gli uni agli altri paralleli, e divisi da uno spazio di una diecina di passi. Per ogni ordine un cento di tende; tre soldati per tenda, trecento soldati per serie, due mila

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