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256 il campo.

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Guardate sulla via. Avvolto in un nuvolo di polvere s’avanza, al galoppo, un cavaliere. È presso all’entrata; entra; si dirige verso la tenda del colonnello; s’arresta. Il colonnello esce; il cavaliere saluta, porge un foglio, volge la groppa e via di carriera.

Tutti stanno cogli occhi rivolti là, attoniti, muti; si direbbe che i respiri sono sospesi; il campo rende l’immagine d’una di quelle piazze gremite di popolo intorno a un foco d’artificio quando un bagliore improvviso di bengala illumina una superficie immensa di facce cogli occhi spalancati e le bocche aperte.

Il colonnello chiude il foglio, si volge al trombettiere, fa un cenno....

Prima ancora che eccheggi lo squillo, un prolungato, universale, altissimo grido, come uno scoppio fragoroso di tuono, si eleva al cielo da ogni parte del campo; tutta quella moltitudine sparsa si rimescola in tutti i sensi con una rapidità vertiginosa; le panche e le tavole del vivandiere, in un attimo, son deserte; il pover uomo si caccia le mani nei capelli; presto, giù la tenda, fuori le casse, dentro a furia piatti, cavoli salami, bottiglie, panni, polli, sigari, alla rinfusa, non monta; ma presto, il tempo incalza, un altro squillo di tromba è imminente; gli uffiziali girano pel campo di corsa chiamando ad alta voce le ordinanze che giungono affannate e trafelanti. Svelti, mano alle cassette; giù dentro la roba; gli stivali sulle camicie, i pettini nella tunica, non importa, pur di far presto. La cassetta non si può chiudere; giù il ginocchio sul coperchio, — forza — forza — ancora, auf! è chiusa. Presto ad arrotolare il pastrano; qua la tunica, la sciabola, la borsa; presto; siamo in ordine, meno male. — E i soldati attorno alle tende, a scioglier coll’ugne i nodi delle cordicelle, ad arrotolar le coperte e le tele, a riempir gli zaini a furia, ad

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