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durante il colèra del 1867. | 287 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - La vita militare.djvu{{padleft:295|3|0]]costo di gravissimi sacrifici, un abituro, una capanna, un qualunque bugigattolo, pur che fosse lontano dalla città e appartato, quanto era possibile, da ogni abitazione.
Abbandonata a se stessa e impaurita dall’altrui paura e dalla solitudine in cui veniva lasciata, la povera gente fuggiva anch’essa ed errava a frotte per la campagna, traendo miseramente la vita fra i languori della fame. Il generale terrore veniva accresciuto dal ricordo delle grandi sventure patite negli anni andati; se ne predicevano, come sempre accade, delle peggiori; si reputavano già tali fin dal loro cominciamento; in ciascuna provincia si esageravano favolosamente le stragi delle altre; in campagna si narravano orrori della morìa delle città; in città, altrettanto della campagna.
Come si trovasse ridotta la popolazione che rimaneva ne’ paesi è facile immaginarlo. Tranne poche città, essendo dappertutto abbandonate o disordinate le amministrazioni comunali, si trascuravano i provvedimenti igienici di più imperiosa necessità. Talora le popolazioni, reputando fermamente che quei provvedimenti fossero inutili, ricusavano di prestarvi l’opera propria, senza la quale essi riuscivano inefficaci, per quanto fosse il buon volere delle Autorità e lo zelo dei pochi cittadini che pensavano ed operavano dirittamente. S’aggiunga che molti paesi erano rimasti senza medici, senza farmacisti, e tutti poi, anche i più grandi, erano desolati dalla miseria che la carestia dell’anno precedente aveva prodotto, e lo scarso ricolto di quell’anno, e l’enorme mortalità avvenuta negli armenti, accresciuto. Falliti gran parte dei negozianti; sospesa la costruzione delle strade ferrate; interrotte molte opere pubbliche provinciali e comunali; molte fabbriche chiuse; gli operai senza lavoro; serrate dapprima le botteghe di oggetti di