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durante il colèra del 1867. | 297 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - La vita militare.djvu{{padleft:305|3|0]]ma, l’intenzione però e l’efficacia di comandi diretti e assoluti, onde agli atti che ne seguono non si può attribuire il merito della spontaneità; ma questo, per cause diverse, non poteva accadere nell’occasione del colèra. Perchè allora, nella massima parte dei casi, i soldati capivano, vedevano chiaramente che la salute dei paesi in cui si trovavano era riposta nelle loro mani; che in certi momenti estremi non c’era altri che loro da cui potessero scongiurarsi certe estreme sventure; d’ogni loro atto, d’ogni loro sacrifizio erano immediati ed evidenti gli effetti; per ogni moneta, per ogni tozzo di pane ch’essi porgessero era là pronta la mano scarna d’un affamato ad afferrarlo; la pietà era tenuta viva dallo spettacolo continuo della sventura, e non c’era luogo ad alcun dubbio o ad alcuna diffidenza che il sentimento di quella pietà intepidisse o facesse esitare. Nè si può ragionevolmente supporre che l’influenza dei superiori avesse parte nelle opere caritatevoli che non erano fatte per obbligo di servizio o per altra necessità assoluta, poichè quelle necessarie e obbligatorie erano sì frequenti e sì gravose per sè, che nessun superiore avrebbe potuto pretenderne dell’altre senza che proprio gliene rimordesse la coscienza. Di più, essendo i corpi scompartiti in un gran numero di piccolissimi distaccamenti, e quegli stessi distaccamenti operando il più delle volte suddivisi, l’azione che potevano esercitare i superiori sui loro subordinati per ottenerne qualcosa più in là del dovere, era tenuissima; sarebbe anco stata insufficiente a far sì che ciò ch’era di dovere si facesse, se di quell’azione ci fosse stata la necessità. Per altra parte le stesse prescrizioni dei superiori non giungevano mai sin là dove l’opera dei soldati giungeva, poichè certi sacrifizi son di tale natura, da non potersi imporre per nessun fine e in nessuna maniera; e i lettori vedranno quali