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durante il colèra del 1867. 305

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - La vita militare.djvu{{padleft:313|3|0]]gio e con grande affetto, o rifiutarlo. Coloro che si profferiscono si mettano a «ginocc-terr».

Quasi in un sol punto tutta la linea di battaglia si chinò come a un grido di comando, e al di sopra delle teste apparirono ritti e distinti i quattrocento fucili.

Il colonnello si voltò indietro e disse vivamente: — Maggiore!

Questi gli rispose con uno sguardo.

Ma dove più mirabilmente si esercitava la carità dei soldati era nel soccorrere i poveri.

«Quando io andava in caserma, — mi raccontò un ufficiale del 54º, ch’era stato un pezzo comandante di distaccamento a S. Cataldo, — ero ogni giorno accompagnato da uno sciame di poveri; le donne indietro coi bambini in collo, dinanzi ed ai lati i ragazzi colle mani tese, lamentando e piangendo. Un altro branco d’accattoni m’aspettava alla porta, e tutti insieme poi mi circondavano, mi si stringevano addosso, mi afferravano per le falde, m’intronavano di gemiti e di grida supplichevoli. Avevo un gran da fare a liberarmene, e il più delle volte non ci riuscivo se i soldati di guardia non venivano ad aiutarmi, rompendo la folla a furia di spintoni e di minacce. E molte volte le minacce a voce non bastavano; bisognava por mano alle baionette e far l’atto di ferire, e solamente allora cominciavano a levarmisi d’attorno; ma per poco, chè s’io non ero lesto a infilar la porta del quartiere, tornavano daccapo. Molti di quegli infelici stavan tutto il giorno seduti in terra dinanzi alla porta; alcuni vi dormivan la notte; nessuno poi vi mancava all’ora del rancio, quando i soldati portavan fuori le marmitte cogli avanzi della minestra. E allora era un rimescolamento, un urlìo da non potersi quetare nemmeno colla forza.

Affamati com’erano da non reggersi in piedi, ognuno


De Amicis 20

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