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durante il colèra del 1867. | 341 |
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Il soldato bevve, fece un brutto viso, e poi rise.
A un altro che dovea passare all’ospedale dei convalescenti, il generale domandò: — Cosa ti senti adesso? —
— Cosa mi sento? — il soldato rispose; — ah! signor generale, una gran fame. —
Man mano che andava innanzi pei cameroni, i malati che lo potevano si alzavano a sedere, o si sollevavano un poco sul gomito, tendendo l’orecchio e allungando il collo per sentire quel ch’ei diceva e per vederlo in viso.
L’ultimo visitato era agli estremi. Aveva la faccia stravolta da non si riconoscere più, con quell’impronta di vecchiaia, con quell’espressione d’un grande spavento, che è tutta propria de’ colerosi, e che vista una volta si ricorda per sempre. Delirava borbottando parole confuse; moveva incessantemente le braccia e stropicciava le dita come se cercasse alcun che sulle coltri, o alzava le mani come per afferrare qualcosa che gli svolazzasse dinanzi agli occhi. Era un giovane sergente che in que’ tristi giorni del colèra avea fatto ogni più bella prova di coraggio, di costanza, di carità. — Non gli restano che poche ore di vita — disse sottovoce il dottore. Il generale lo guardò lungamente col viso addolorato e pensoso. Certo egli pensava che quel bravo giovane moriva lontano dai suoi, senza conforti e senza pianto; pensava alla sua famiglia, ai tanti altri morti come lui, alle tante altre famiglie, come la sua, rimaste prive di uno de’ capi più cari.... Tutt’ad un tratto, si riscosse, diede un sospiro e si allontanò dicendo: — Egli ha spesa nobilmente la vita. — Tutti gli altri lo seguirono silenziosi.
L’ultima provincia in cui si sviluppò largamente il colèra sullo scorcio del sessantasette fu quella di Reg-