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30 | l’ospitalità. |
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In quella stanza, stava raccolta in quell’ora la famiglia d’un ricco possidente piacentino, il quale soleva ogni anno protrarre la villeggiatura fino alla fine d’ottobre, in compagnia dei suoi figli e di una sua sorella vedova, attempata, bizzarra, e con certi fumi di boria patrizia pel capo; ma, in fondo, di buona indole e di buon cuore. Il salotto era mobiliato riccamente e illuminato da un’elegante lampadario appeso alla vôlta. Due bei bimbi si baloccavano attorno alla tavola da pranzo; un giovanetto leggeva un giornale in un canto; dall’altro lato due ragazze di diciotto in vent’anni sedevano davanti a un tavolino da lavoro discorrendo col fratello maggiore; il babbo e la sorella in piedi accanto alla finestra erano assorti in una conversazione animata.
— Con vostra buona pace — brontolava la sorella — io non partecipo nè punto nè poco ai vostri sacri entusiasmi.
— Tanto peggio per voi; avrete molte consolazioni di meno.
— Belle consolazioni! Guardate la vostra campagna in che stato vi si è ridotta con questo continuo passar di soldati. Ci siete stato nelle vigne?
— Ci son stato; e per questo? Potevano fare assai peggio. Già, più d’un grappolo per uno credo che non n’avranno preso, perchè da una mano debbon tenere il fucile, e nello zaino l’uva non ce la possono mettere senza sciuparla.
— Allora tanto valeva invitarli a rubare.
— A servirsi, volete dire; era inutile.
— Sarebbe stato più generoso.
— ...È vero, e mi pento di non averlo fatto.
— Mi fate dispetto. —
Il fratello si mise a ridere.