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partenza e ritorno. | 385 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - La vita militare.djvu{{padleft:393|3|0]]rebbero a combattere; se l’esercito si dissolvesse, in quindici giorni ne sorgerebbe un altro.
— Sì! sì! — proruppe mia madre con uno slancio che volea parere entusiasmo, ma non era altro che amor materno velato di amor di patria: — Sì! È una crociata! Dovrebbero andarci tutti alla guerra, tutti, da esserci a milioni a milioni, che i nemici avessero paura, e smettessero persino l’idea di resistere e aprissero le porte delle fortezze....
— Dov’è il mio figliuolo? — domanda una voce tremola dalla camera vicina; s’apre nello stesso punto la porta e compare il vecchio cieco, colle braccia tese in atto di chiamarmi a sè. Io lo abbraccio; egli mi tocca la sciabola, la sciarpa, le spalline e domanda con voce commossa: — Già pronto? — Poi mi mette le mani sulle spalle, mi appoggia la guancia sul petto e resta fermo così. Silenzio generale. Il burbero, ritto in fondo alla stanza, contempla il quadro colle sopracciglia aggrottate e le braccia incrociate sul petto. Mia madre mi guarda fiso.
Trascorsero alcuni minuti, ed io, guardato in fretta l’orologio, dissi con grande sforzo: — È ora. —
Tutti balzarono in piedi e fecero un passo verso di me. Il burbero mi si accostò e mi susurrò all’orecchio: — Sii uomo. — Pausa.
— ....Dunque — io mormorai, mettendomi il cheppì.
— Dunque — disse risolutamente la signora stringendomi e scotendomi la mano ad ogni parola; — coraggio, fatevi onore, ricordatevi di noi, e scrivete. — Detto questo, si ritirò.
— Addio, Alberto! — esclamò mio fratello gettandomi le braccia al collo e baciandomi.
Le mie sorelle mi abbracciarono singhiozzando e
fuggirono.
De Amicis | 25 |
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