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462 | il più bel giorno della vita. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - La vita militare.djvu{{padleft:470|3|0]]e due le mani alla fronte, e il viso gli si coperse di sangue. Non mi ricordo bene cosa fecero e cosa dissero allora gli altri; so che mi fu fasciato il braccio, e dopo qualche minuto, noi da una parte, loro dall’altra, ce ne andammo pei fatti nostri; nessun contadino era accorso, nessuno se n’era avveduto. Ma come nascondere le ferite? domandai ai sergenti. Mi risposero che non c’era mezzo di nasconderle e che bisognava andare all’ospedale. — Vatti a dichiarar malato subito — mi dissero entrando in quartiere. Ci pensai un poco e poi decisi di non farne nulla; volli provare a resistere. Le ferite erano leggere, sangue n’avevo perduto pochissimo; vediamo. La notte la passai bene; cioè, dormii bene; ma sognacci, signor colonnello, cose d’inferno, coltellate, sciabolate, morti, becchini, il finimondo; solamente, fra tutte queste brutte immagini, vedevo lei, Luisa, colla sua testina chinata da una parte, e gli occhi pieni di lacrime, e quel sorriso così buono, che mi dava una gran consolazione. La mattina, piazza d’armi. Ci vado? non ci vado? ho da darmi per malato? Feci la pazzia d’andare. Si figuri! Strada facendo cominciai a sentirmi un bruciore terribile alle ferite; arrivato in piazza d’armi, mi accorsi che s’erano aperte e che colava giù sangue; diventai bianco come un cadavere. Come fare? Ancora uno sforzo, finchè posso reggermi in piedi; avanti, barcollando come un briaco; mi sentivo mancar le forze, e a poco a poco mi si stendeva un velo oscuro sugli occhi. Tutto ad un trattò un ufficiale manda un grido: — Cos’è questo? Mi si accosta, mi prende per la mano, io guardo, era tutta insanguinata. Uscii quasi fuori di me, fui condotto in quartiere, e poi all’ospedale, e mi prese una febbre maledetta, che per poco non mi mandò all’altro mondo. Fui visitato dai medici, dagli ufficiali della