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UNA MARCIA D’ESTATE.
Era una bella giornata d’agosto; non una nuvola, non un soffio di vento; l’aria immobile e infocata. La strada per cui il reggimento camminava era larga diritta e lunga che non se ne vedeva la fine, e coperta d’una polvere finissima che si sollevava a nuvoli, penetrando negli occhi, nella bocca, sotto i panni, e imbiancando barbe e capelli. A destra e a sinistra della strada non un albero, non un cespuglio, non un palmo d’ombra, non una goccia d’acqua. La campagna era secca, nuda, deserta; nelle poche case sparse qua e là, un silenzio, una quiete, che parevano disabitate. Non si poteva fermar lo sguardo sulla via, nè sui muri, nè sui campi, tanto vi batteva il sole. Si camminava a capo basso e a occhi socchiusi. Insomma, una bellissima giornata d’agosto, una pessima giornata di marcia.
Il reggimento camminava da poco più di un’ora. Malgrado quella polvere e quel caldo soffocante, i soldati erano ancora vispi ed allegri come al momento ch’eran partiti. Due file camminavano a destra e due a sinistra della strada, e dall’una all’altra parte era un continuo scoccare e incrociarsi e ricambiarsi di motti, di frizzi e di mille voci lepide e strane; e di tratto in tratto una gran risata e un batter clamoroso di mani, a cui seguiva sempre un: — Al posto, via, in or-
De Amicis | 1 |
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