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Ricorderò sempre, con una emozione gradevole, quegli ultimi momenti che passammo nel cortile della Legazione prima della partenza.

C’eravamo tutti. Erano arrivati il giorno innanzi, per unirsi a noi, un vecchio amico dell’Incaricato d’affari, il signor Patxot, antico ministro di Spagna a Tangeri, e il signor Morteo, genovese, agente consolare d’Italia a Mazagan. C’era il medico della carovana, Miguerez, nativo di Algeri; un ricco moro; Mohamed-Ducali, suddito italiano, che accompagnava l’ambasciata in qualità di scrivano; il secondo dracomanno della Legazione, Salomone Aflalo; due marinai italiani, uno ordinanza del comandante Cassone e l’altro calafato a bordo del Dora; i soldati della Legazione in gran gala; i cuochi, gli operai, i servi, tutte persone sconosciute che due mesi di vita comune nell’interno del Marocco dovevano rendermi famigliari, e che io mi preparavo a studiare sin da quel momento, ad uno ad uno, per farli un giorno movere e parlare nel libro che avevo in testa. Tutti avevano nel vestito qualchecosa di particolare, che dava a quella riunione un aspetto straordinariamente pittoresco. Erano cappelli piumati, cappe bianche, grandi ghette, veli, bisaccie, coperte da campo di colori bizzarri. C’era da fare un bazar tra pistole, barometri, quaderni, album e cannocchiali. Pareva che fossimo preparati a

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