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had-el-garbìa 107

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Marocco.djvu{{padleft:117|3|0]] lavoravano poco meno di cento persone, osservai un tratto singolare del carattere degli arabi, che è la passione smaniosa del comando. Non c’era bisogno di nessun’indicazione, per riconoscere alla prima in mezzo a quella folla confusa il capo mulattiere, il capo dei facchini, il capo dei servi delle tende, il capo dei soldati della Legazione. Chiunque era investito d’un’autorità, la faceva sentire e vedere, a proposito e a sproposito, colla voce, colle mani, cogli occhi, con tutte le forze dell’anima e del corpo. E chi non aveva autorità, coglieva ogni menomo pretesto per dare un ordine a un eguale, per illudersi d’essere qualchecosa più degli altri. Il più cencioso dei servi pareva beato di poter assumere per un momento un atteggiamento imperioso. La più semplice operazione, come d’annodare una corda o di sollevare una cassa, provocava uno scambio di grida tonanti, di sguardi fulminei, di gesti da sultano sdegnato. Persino Civo, il modesto Civo, sultaneggiava contro due arabi della campagna che si permettevano di guardar da lontano i bauli del suo padrone.


Alle dieci della mattina, sotto un sole ardente, la lunga carovana cominciò a discendere lentamente nella pianura.

Il console di Spagna e i suoi due compagni

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