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Il tempo era bellissimo. Si desinò colla tenda aperta, e per tutto il tempo del desinare, i cavalieri di Had-el-Garbia festeggiarono l’ambasciata con cariche clamorose, rischiarate da uno splendido tramonto di sole.


A tavola sedeva dinanzi a me Mohammed Ducali. Ebbi modo per la prima volta di osservarlo attentamente. Era il vero tipo del ricco moro, molle, elegante e ossequioso; e dico ricco, perchè si diceva che possedesse più di trenta case a Tangeri, quantunque in quel tempo i suoi affari fossero un po’ imbrogliati. Poteva avere una quarantina d’anni. Era alto di statura, di lineamenti regolari, bianco, barbuto; portava un piccolo turbante ravvolto in un caïc del più fino tessuto di Fez, che gli scendeva sopra un caffettano di panno amaranto ricamato; sorrideva per far vedere i denti, parlava spagnuolo con una voce femminea, guardava, s’atteggiava e gestiva con una languidezza da innamorato. In altri tempi aveva fatto il negoziante: era stato in Italia, in Spagna, a Londra, a Parigi, ed era tornato al Marocco con idee ed abitudini europee. Beveva vino, fumava sigaretti, portava calze, leggeva romanzi, raccontava le sue avventure amorose. La ragione principale che lo conduceva a Fez era un credito ch’egli aveva col Governo, e

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