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126 had-el-garbìa

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Marocco.djvu{{padleft:136|3|0]] fucili, sciabole, selle, ciarpe, pugnali, caic e la bandiera di Maometto, come sopra il campo d’una mischia. Guardai la campagna: non si vedeva nessuno. Appena apparivano come due macchie nere ed informi i due gruppi di capanne.

Tornai indietro, passai in mezzo alla tenda del Console d’America e a quella dei suoi servi, tutt’e due chiuse e silenziose; attraversai il piccolo spazio di terreno dov’era piantata la cucina, e superata una barricata di botti, di tegami, di pentole, di brocche, arrivai alla piccola tenda del cuoco.

Con lui dormivano là sotto i due arabi, che gli facevan da sguatteri.

Misi la testa dentro: — era buio. Chiamai il cuoco per nome: — Gioanin!

Il poveretto, afflitto dalla mala riuscita d’una frittura, e forse anche inquieto per la vicinanza dei due «selvaggi», non dormiva.

A l’è chiel? (È lei?) domandò.

— Son io.

Tardò qualche momento a rispondere e poi, voltandosi sul letto, esclamò sospirando: — Ah! che pais!

— Coraggio, — dissi —, pensate che fra dieci giorni sarete dinanzi alle mura della grande città di Fez.

Rispose qualche cosa in confuso di cui

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