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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Marocco.djvu{{padleft:205|3|0]] fu seminato d’ale, di zampe, di gambe, di teste, i superstiti si dispersero, e noi, stanchi dell’eccidio, dopo esserci nominati reciprocamente cavalieri di varii ordini, rimettemmo la testa sul guanciale. Ma che chiasso! Che matta allegria, benchè non fossimo più nessuno di primo pelo! Che risate che venivano proprio d’in fondo e facevano bene all’anima e al corpo!
La mattina seguente, al levar del sole, il governatore Ben-el-Abbassi si presentò all’ambasciatore per accompagnarlo fino ai confini della sua provincia.
Appena discesi dall’altopiano dell’accampamento, ci si spiegò dinanzi agli occhi l’orizzonte immenso della pianura del Sebù.
Questo fiume, uno dei più grandi del Magreb, scende dal fianco occidentale della catena di montagne che si allunga dall’alto Atlante verso lo stretto di Gibilterra, e con un corso di circa duecento quaranta chilometri, ingrossato da molti affluenti, si va a versare, descrivendo un grande arco, nell’Oceano atlantico, presso Mchedia, dove l’ammontamento delle sabbie, comune alle foci di quasi tutti i fiumi marocchini di quel versante, impedisce l’entrata ai bastimenti e produce grandi innondazioni al tempo delle cresciute. La vallata di questo fiume, che abbraccia, alla sua apertura,