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Se ne avessi ancora potuto dubitare, me ne avrebbero arcipersuaso le notizie che raccolsi poi.

I Beni-Hassen sono il popolo più turbolento, più audace, più manesco, più ladro di tutta la vallata del Sebù. L’ultima loro prova fu una rivolta sanguinosa scoppiata nell’estate del 1873, quando salì al trono il Sultano regnante, la quale cominciò col saccheggio della casa del Governatore, a cui rubarono perfino le donne. Il latrocinio è il loro mestiere principale. Si raccolgono in bande, a cavallo, armati, e fanno delle scorrerie di là dal Sebù o nelle altre terre vicine, rubando quanto possono portare o trascinare, e ammazzando, per precauzione, quanti incontrano. Sono disciplinati, hanno dei capi, degli statuti, dei diritti riconosciuti, in un certo senso, persino dal Governo, il quale si serve qualche volta di loro per riavere quello che gli è stato rubato. Rubano per via d’imposte forzate. La gente depredata, invece di sciupare il tempo in ricerche e in ricorsi, ricupera l’aver suo pagando una somma convenuta al capo dei ladri. Per i ragazzi, specialmente, è ammesso come cosa naturalissima che debbano tutti rubare. Se si pigliano una palla nella schiena o si fanno spezzare il capo da una sassata, peggio per loro; si sa che nessuno vuol lasciarsi rubare; e poi non c’è rosa senza spine. I padri lo dicono ingenuamente:

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