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Incontro tanti neri per le strade di Fez, che alle volte mi par di trovarmi in una città del Sudan e sento vagamente fra me e l’Europa l’immensità del deserto di Sahara. Dal Sudan, infatti, vengono la maggior parte, poco meno di tremila all’anno, molti dei quali si dice che muoiono in breve tempo di nostalgia. Sono portati per lo più all’età d’otto o dieci anni. I mercanti, prima di esporli in vendita, li ingrassano a pallottole di cuscussù, cercano di guarirli dalla nostalgia colla musica e insegnano loro qualche parola araba; il che ne aumenta il prezzo, che è ordinariamente trenta lire per un ragazzo, sessanta per una bimba, circa a quattrocento per una giovane di diciassette o diciott’anni, bella, che sappia parlare e che non abbia ancora partorito; e cinquanta o sessanta per un vecchio. L’Imperatore ritiene il cinque per cento della materia importata, e ha il diritto della prima scelta. Gli altri sono venduti nei mercati di Fez, di Mogador e di Marocco, e partitamente, all’incanto, in tutte le altre città, dove i compratori, per tradizione, usano loro il pudico riguardo di non visitarne pubblicamente le parti coperte. Abbracciano tutti, senza diffi-

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