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sul sebù 457

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Marocco.djvu{{padleft:467|3|0]] segno di vita. Non ricordo quanto tempo io sia rimasto in quello stato. Ero immerso in una specie di stupore, sognavo ad occhi aperti, mi ribollivano nel capo mille immagini confuse di luoghi freschi e di cose gelate: mi precipitavo dall'alto d'una rupe in un lago, mettevo la nuca contro la bocca d'una pompa, mi fabbricavo una casa di ghiaccio, divoravo in dieci minuti tutti i pezzi duri di Napoli, e più sguazzavo nell'acqua e bevevo freddo, più mi sentivo morire di caldo, di sete, di rabbia, di sfinimento. Finalmente il capitano esclamò con voce funerea: — Quarantasette! — Fu l'ultima voce che mi ricordo d'aver sentita....


Verso sera venne a visitar l'Ambasciatore, in nome di suo padre malato, il figliuoletto del Governatore dei Beni-Hassen che avevamo veduto la mattina. Entrò nell'accampamento a cavallo, accompagnato da un ufficiale e da due soldati che lo presero in braccio quando scese di sella, e s'avanzò a passo grave verso la tenda dell'Ambasciatore, strascicando come un paludamento la sua gran cappa turchina, con la mano sinistra appoggiata sulla sciabola più lunga di lui, e la destra distesa in atto di saluto.

La mattina, visto a cavallo, c'era parso un

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