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460 sul sebù

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Il sole tramontò quella sera sotto un padiglione immenso di nuvole color d’oro e di bragia, e lanciando rasente la pianura i suoi ultimi raggi sanguigni, calò dietro la linea diritta dell’orizzonte come un enorme disco rovente che si sprofondasse nelle viscere della terra.

E la notte fece freddo!


La mattina, al levar del sole, eravamo già sulla riva sinistra del Sebù, nel medesimo punto dove l’avevamo passato venendo da Tangeri; e appena giunti, vedevamo comparire sulla riva opposta, accompagnato dai suoi ufficiali e dai suoi soldati, il simpatico governatore Sid-Bekr-el-Abbassi, colla stessa cappa bianca e collo stesso cavallo nero bardato di color celeste, con cui ci s’era presentato la prima volta.

Ma il passaggio del fiume presentò questa volta una difficoltà impreveduta.

Dei due barconi sui quali dovevamo traghettare, uno era in pezzi; l’altro rotto in più parti e mezzo affondato nella mota della sponda. Il piccolo duar abitato dalle famiglie dei barcaioli, era deserto; il fiume non guadadabile che con grave pericolo; nessun altro barcone che alla distanza d’una giornata almeno di cammino da quel punto. Come passare? Che

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