< Pagina:De Amicis - Marocco.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

arzilla 469

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Marocco.djvu{{padleft:479|3|0]] delle tenebre). Tutti, involontariamente, affrettarono il passo; le conversazioni, che cominciavano a languire, si rianimarono; i servi intonarono i canti sacri; l’intera carovana, in pochi minuti, prese un’aria d’allegrezza e di festa.


La sera del 19 Giugno ci accampammo a tre ore da Laracce, e la mattina seguente entrammo in città, ricevuti alle porte dal figlio del Governatore, da venti soldati senza fucili e senza calzoni schierati lungo la strada, da un centinaio di ragazzi cenciosi, e da una banda composta d’un tamburino e d’un trombettiere, che vennero poco dopo a chiedere la mancia con uno straziante concerto nel cortile dell’agente consolare d’Italia.


Su quella costa sparsa di città morte, — come Salè, Azamor, Safi, Santa-Cruz, — Laracce conserva ancora un po’ di vita commerciale che le basta per essere considerata uno dei principali porti del Marocco. Fondata da una tribù berbera nel secolo XV, fortificata sulla fine dello stesso secolo da Mulei-ben-Nassar, abbandonata alla Spagna nel 1610, ripresa da Mulei Ismael nel 1689, ancora fiorente sul principio di questo secolo, popolata ora da quattromila circa tra mori ed ebrei, sorge sopra la china d’un colle

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.