< Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

rancori e amori 99

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:103|3|0]] da Messina, da Venezia, da Marsiglia, ogni settimana, tutto l’anno, da decine d’anni! E àncora si potevan chiamare fortunati, per il viaggio almeno, quegli emigranti del Galileo, in confronto ai tanti altri che, negli anni andati, per mancanza di posti in stiva, erano stati accampati come bestiame sopra coperta, dove avevan vissuto per settimane inzuppati d’acqua e patito un freddo di morte: e agli altri moltissimi che avevan rischiato di crepar di farne e di sete in bastimenti sprovvisti di tutto, o di morir avvelenati dal merluzzo avariato o dall’acqua corrotta. E n’erano morti. E pensavo ai molti altri che, imbarcati per l’America da agenzie infami, erano stati sbarcati a tradimento in un porto d’Europa, dove avevan dovuto tender la mano per le vie; o avendo pagato per viaggiare in un piroscafo, erano stati cacciati in un legno a vela, e tenuti in mare sei mesi; o credendo di esser condotti al Plata, dove li aspettavano i parenti e il clima del loro paese, erano stati gittati sulla costa del Brasile, dove li avevan decimati il clima torrido e la febbre gialla. E pensando a tutte queste infamie, e alle migliaia di miei concittadini che, in grandi città straniere, campai) la vita coi più degradanti mestieri, e ai branchi d’istrioni affamati

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.