Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
112 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:116|3|0]] di nuovo il professore, e lo vidi a pochi passi da me, che meditava profondamente sull’ago calamitato. Se ne staccò appunto nel momento che l’agente ritornava, con la faccia d’un cacciatore che ha fatto presa. — Abbiamo un po’ di movimento, — gli disse quegli, placidamente. — Già,— rispose l’agente; — di beccheggio. — Con questi scherzi amorevoli si passava il tempo.
Il mare non si godeva che sul far della notte, dopo che i passeggieri l’avevano sgombrato, tranne due o tre solitari. A quell’ora, quando sul cielo ancora un po’ chiaro a occidente, il mare intagliava una linea nera purissima, ed essendo tutto nero, come un mare di pece, non attirava gli occhi in alcun punto determinato, era piacevole abbandonarsi a quel va e vieni di pensieri slegati e laceri, che somiglia al movimento delle immagini nel sogno; a cui battevano la misura i colpi cadenzati dell’elica. Ma i pensieri, a quell’ora, pigliano il color del mare. Davanti a quella faccia sconfinata delle acque che non mostra alcuna traccia nè dell’uomo nè del tempo, lo scopo del nostro viaggio, i nostri interessi, il nostro paese, tutto ci appare così lontano, confuso, piccolo, misero! E pensare che tre giorni prima di partire siamo stati feriti