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l'oceano giallo 147

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:151|3|0]] Il comandante, con la bocca piena di pane, rispose che si contavano cinquanta e più maniere di naufragio: scoppi di caldaia, incendi, vie d’acqua, uragani, cicloni, tifoni, rocce, banchi di fondo, abbordi e via dicendo. Metà dei naufragi, peraltro, si poteva affermare che derivassero da ignoranza professionale, da imprevidenza, da trascuratezza, da difetti di costruzione dei legni; insomma da cause evitabili. Un anno sull’altro, seguivano da sei mila naufragi, tra bastimenti e barche; e, scià notte, non comprendendo nella statistica la China, il Giappone e la Malesia.

L’avvocato, fin dalle prime parole, s’era rannuvolato, e faceva mostra di non ascoltare; ma si vedeva che una curiosità malata lo costringeva a prestar orecchio. E fu peggio quando la signora, con uno di quei salti che fan le donne nella conversazione, usci a domandare al comandante che cosa credeva che si provasse, che si vedesse, quando s’andava giù, sotto l’acqua.

Cose se prœuva, — rispose il Comandante. — no savieivo. Cosa si vede.... Ecco. Per un certo tratto si vede ancora la luce, una luce velata, livida; poi... si è come in un chiarore crepuscolare, dicono, di un color rosso.... sinistro; e poi.... buona notte: un’oscurità completa, una

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