< Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
260 sull'oceano

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:264|3|0]]rio, un’allegrezza di festa, di cui essi medesimi erano stupiti. E così cambiava man mano la loro disposizione d’animo verso di noi, e la maniera di accoglienza che ci facevano in casa loro. La mattina occhiatacce, voltate di spalle e anche male parole fischiate rasente le orecchie: un’antipatia spiegata per i “signori.„ La sera dello stesso giorno, invece, sguardi benigni, avvertimenti ai ragazzi che ci lasciassero passare, e anche parole amichevoli buttate così per aria, per attaccare discorso. E anche in questo noi facevamo come loro. Pensavamo spesso, guardandoli, con un bel sereno: — Povera e buona gente! Son nostri, infine. Che cosa non si darebbe per vederli contenti! Come sarebbe bello essere amati da loro! — E in altri momenti, nell’afa del cielo chiuso: — Che razza di cani! Pensare che ci farebbero morir tutti perpendicolarmente, se potessero! E noi li andiamo a accarezzare, imbecilli.

Ma quel giorno il mare era azzurro, e a traverso al buon umore della popolazione di terza, come per una trasparenza morale, si potevano fare molte osservazioni psicologiche nuove. Poichè bisogna notare: sotto la trama dei dispetti e degli odi se n’era ordita, in quei

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.