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l'oceano azzurro | 271 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:275|3|0]]alcuni, che pure s’eran fatti pallidi, scrollaron le spalle, dicendo che avevano indovinato alla prima; ma la maggior parte rimasero sopra pensiero, come accade quando s’è sentito una puntura o un battito irregolare del cuore. Quella macchina, di cui nessuno parlava prima, diventò allora il soggetto di cento discorsi, tutti pieni di una sollecitudine e di un rispetto fanciullesco, che faceva sorridere. Perchè, insomma, essa era il cuore del piroscafo, è vero? Il Comando è il cervello, e se il cervello si guasta, si può vivere ancora; ma se il cuore s’arresta, tutto è finito. E come si chiamava il macchinista? Aveva l’aria d’un uomo di intelligenza e d’esperienza. Non parlava mai. Doveva aver molto studiato. Avrebbe saputo cavarci d’impaccio. Tutti ne facevan le lodi, senza conoscerlo. Solamente il mugnaio scrollava il capo, con un sorriso di pietà, portando a spasso pel cassero la sua pancia vanitosa. Macchinisti italiani! Egli si aspettava di peggio. Americani o inglesi avevano ad essere. Ma la pitoccheria nazionale non ne voleva sapere. — Faltan patacones! — gli rispondeva il prete. (Mancan gli scudi.) Ma a capo a mezz’ora le conversazioni languivano, quell’ora benedetta non passava mai, le inquietudini rinascevano. — Ma che ci voglia tanto,