< Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
274 sull'oceano

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:278|3|0]]ispira. S’indovinava peraltro da certe espressioni rapide dei suoi occhi e della sua bocca, ch’egli doveva essere stato altre volte d’animo aperto e incline all’amicizie gaie, e buono fors’anche; ma che tutte le molle della sua natura s’erano spezzate o allentate l’una dopo l’altra in una lunga lotta contro un avversario più forte o più tenace di lui. Era facile accorgersi, in fatti, che egli temeva sua moglie, ma che questa non temeva lui. Si capiva dallo sguardo di sospetto che egli volgeva intorno quando scambiava qualche parola con la signora argentina o con la brasiliana; davanti alle quali stava in quell’atteggiamento di rispetto amorevole e triste che suol tenere con le mogli degli altri chi è infelice con la propria, e vede in ognuna di quelle l’immagine d’una felicità, o almeno d’una vita tollerabile, che a lui non è concessa. E faceva tanto più pena quella timidità di fanciullo martoriato in quell’uomo alto e complesso, a cui rimaneva ancora nei lineamenti una certa bellezza virile. A guardarlo da vicino, gli si vedeva quel tremito frequente dei muscoli delle labbra, che distingue gli uomini abituati a comprimere la collera, e quel modo di fissar gli occhi nel vuoto, senza sguardo e per lungo tempo, che è proprio delle tristezze che vagheggiano il suicidio.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.