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l'oceano azzurro | 275 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:279|3|0]]E non mostrava mai la noia e l’impazienza degli altri passeggieri: egli pareva indifferente al tempo come i prigionieri condannati a vita. Io non mi sarei maravigliato affatto se avessi inteso dire da un momento all’altro ch’egli s’era gittato tra le ruote della macchina. Forse, a casa sua, avrà avuto la distrazione del lavoro o del movimento, qualche amico, o un vizio con cui cercava di stordirsi: per qualche ora, almeno, non avrà veduto sua moglie. Ma là, su quei quattro palmi di tavolato, esser costretto a vederla e a toccarla di continuo, a odiarla e a esser odiato sotto gli occhi di tutti, e a respirare l’alito suo in una segreta senza luce e senz’aria, era insieme il supplizio della reclusione, della berlina e della galera. E non un’anima umana con cui sollevarsi! Perchè a nessuno egli aveva fatto ancora la minima confidenza, che si sarebbe risaputo, essendo smaniosi tutti di penetrare il loro segreto. E neppur essa parlava. Erano due tombe chiuse, in ciascuna delle quali si dibatteva un mostro sepolto vivo, senza chiedere aiuto nè pietà.
Quella notte, però, io credetti d’essere sul punto di scoprire il mistero. La brezza era quasi cessata, e il mare dormiva, in modo che la sera