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282 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:286|3|0]]sepolti nelle stive dei velieri immobili, sotto il sole dell’equatore. Di fronte a me, chiacchieravano senza un riguardo al mondo l’avvocato e il tenore, e intesi che parlavan della Grecia. Udii esclamare; — Giorgio Byron! — Poi l’avvocato che diceva: — Dunque lei non tien conto delle forze del panslavismo? — Ah! — rispose il tenore, — non mi parli del panslavismo. Per sua regola, non venga mai a par-la-re-a-me del panslavismo! — Sentii dei frammenti di conversazione del prete napoletano col chileno, che dovevan esser ritti in mutande, ciascuno sull’uscio del suo camerino: — Cuando se produce un movimiento de baja en el precio del oro sellado.... — Finalmente tutti tacquero. Ma quando non s’è preso sonno subito, in quelle notti afose, dentro a quelle stie di camerini, non c’è più da sperare altro che uno stato di dormiveglia affannoso, nel quale il senso della vista e dell’udito rimangon come velati, ma non sopiti, e il sogno, se si può chiamar sogno ancora, piglia un andamento ad altalena vertiginoso, trasportandoci senza posa dal mare a casa nostra, e di qui sul mare, e poi daccapo a casa, con una lucidità di visione e una brutalità di disinganni che è un supplizio. E quante volte poi, a casa, anche anni dopo, si rifanno quei sogni medesimi, come