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286 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:290|3|0]]in un’altra pareva di cenere immollata, e qua e là, d’un bitume nerastro, che gonfiava e risedeva, come la pegola della bolgia dei barattieri. A prua e a poppa si formavano molti capannelli e circolava una notizia: nella notte era morto il vecchio contadino piemontese, malato di polmonite: l’atto di morte era stato steso e firmato da due testimoni, la mattina all’alba, nella camera nautica, dopo la verificazione dovuta del medico. Quell’avvenimento, benchè si sapesse che in quei lunghi viaggi, fra tanta gente, non era raro, destava una tristezza inquieta, come se fosse una minaccia per tutti. Il medico fu fermato sulla “piazzetta„ dalle signore, che volevan sapere, e con la sua faccia placida di Nicotera ammansito, raccontò. Era stata una scena dolorosa. Il vecchio, prima di morire, aveva voluto rivedere la signorina di Mestre, per rimetterle i suoi pochi soldi e le carte, che le facesse recapitare al suo figliolo. Ma aveva avuto un’agonia disperata. Il prete non era riuscito a fargli accettar la morte con rassegnazione. Negli sguardi che girava sugli astanti, e intorno, su quello strano ospedale, si vedeva un’angoscia immensa, uno sgomento di fanciullo di dover morir là, in mezzo all’oceano, e di non aver sepoltura; e si afferrava con tutt’e