< Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

il morto 289

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:293|3|0]]

Trovai sull’uscio del camerino di seconda il padre, seduto sopra una valigia, con uno dei gemelli fra le ginocchia, e la pipa in bocca. — El fantolin sta ben —, mi disse, con la sua solita faccia ridente. E poi, strizzando gli occhi verso il vecchio del castello di prua, di cui arrivava la voce fin là, mi disse a bassa voce: — Ghe xè dele teste calde.

Poi soggiunse: — Per mi, dal momento che se va sul mondo novo, cossa ne importa a deventar mati perchè va mal le façende nel mondo vecio?

Questa domanda era come una tastata ch’egli mi dava per vedere s’io fossi un signore intrattabile, o uno di quelli con cui si può ragionare. Ma senza ch’io rispondessi altro che con un cenno del capo, mi parve che il mio viso gl’inspirasse fiducia, perchè, facendo un salto, disse francamente:

Per conto mio de mi, mi scusi, un torto che hanno i signori è di sparpagnar tante fandonie sull’America, e che muoion tutti di fame, e che tornati più disparai di prima, e che c’è la peste, e che i governi di là son tutti spotiçi e traditori, e cussì via. Cosa succede allora? Succede che quando poi arriva una lettera d’uno di laggiù che fa saper che sta bene e che el fa

De Amicis.Sull'Oceano 19

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:293|3|0]]

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.