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298 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:302|3|0]] denti, e che poi s’avviliva a quel modo. E continuava a gridare: - Bruttò! Strason che no’ sei atro! A mae figgia! E ghe vêu da faccia! — E Voleva picchiare daccapo.
E allora quello allargava le braccia, sconsolato, in atto di dire: — Son qui, fate di me quel che volete. — E poi tornava a giurare che era un galantuomo, a domandar scusa, a offrire la lettera del sindaco.
Il Commissario era molto imbarazzato a concludere. Io gli vidi passar negli occhi un sorriso che doveva rispondere alla tentazione teatrale di proporre un matrimonio. Ma il padre non aveva l’aria di accettare uno scherzo. In fine, se la cavò facendo una grande intemerata al giovane sul rispetto dovuto alle donne, e ordinandogli di non lasciarsi vedere per un po’ di tempo sopra coperta; e raccomandò all’altro di quetarsi, chè la cosa non intaccava punto la reputazione della sua figliuola, che era stimata da tutti, e via dicendo. Poi li mise fuori tutti e due, pregando il padre di tornare a prua per il primo. Questi s’allontanò, voltandosi ancora indietro a minacciar con la mano, e a lanciar due o tre aggettivi genovesi, assortiti. Il giovane, rimasto solo davanti al Commissario, si mise una mano sul petto, e disse con accento dramma-