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il morto | 301 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:305|3|0]] chiusi e la punta della lingua quel leggerissimo sorriso canzonatorio per sè, per lei, per gli altri, per l’universo, che era come la smorfia simbolica della sua quieta filosofia. Su tutti gli altri pareva che gittasse un’ombra di tristezza il pensiero di quel morto che s’aveva a bordo, e che si doveva buttare in mare la notte; e tutti gli occhi si volgevano ogni tanto a prua, inquieti, come se tutti avessero temuto di vederlo apparir da un momento all’altro, resuscitato, per maledire alla sua spaventevole sepoltura. Ed era l’argomento di tutti i discorsi, i quali si facevan gradatamente più neri, come se via via che cresceva l’oscurità, quel corpo si allungasse, e dovesse a notte fitta arrivare coi piedi fino a poppa, a urtare negli usci dei camerini. E il pranzo fu poco allegro. S’impegnò tra il comandante e il vecchio chileno una discussione lugubre su questo soggetto: se il cadavere buttato in mare con un peso ai piedi, sarebbe arrivato al fondo intero; o se per effetto della pressione enorme delle acque disfacendosi e staccandosi i tessuti, non sarebbe arrivato che lo scheletro. 11 comandante era del secondo parere. Il chileno, invece, sosteneva il contrario, dicendo che la pressione della massa d’acqua soprastante essendo trasmessa da quella che