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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:316|3|0]]proche erano salite fino a quell'ultimo limite che separa il silenzio sprezzante dall’ingiuria aperta. Si passavan sui piedi gli uni a gli altri senza salutarsi. La stessa “domatrice„ che da vari giorni viveva in una specie d’effervescenza d’amor materno per tutti, se ne stava in disparte, abbattuta come se le girasse sul cuore tutta la Chartreuse della sua dispensa segreta. Il genovese mi venne incontro con una faccia truce, e fissandomi in viso il suo occhio unico, mi disse di mala grazia: — Sa lei che c’è di nuovo questa mattina?... Niente ghiaccio! S’è rotta la macchina, e il marinaio s’è sciupato una mano. È la seconda volta. Un’infamia! — Era nero. E fece per allontanarsi, ma tornò indietro, e mi domandò, guardandomi di sbieco; — E quel fritto misto d’ieri sera? — E fatta una risata ironica, tirò via. Anche il mio vicino di camerino, appoggiato all’albero di mezzana, era più stravolto del solito, e nel viso e nel vestito mostrava tutti i segni d’aver passato la notte sul cassero per non esser torturato sotto dalla sua aguzzina. Perfino gli sposi, seduti l’uno accanto all’altro sur un sofà di ferro, avevan l’aria acciucchita, e stavan muti come se per la prima volta fossero stanchi e irritati di quel letto di Procuste, in cui erano costretti a studiar lo spa-

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