Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
314 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:318|3|0]]fece voltar le spalle a tutta quell’uggiosa compagnia. E me n’andai a prua.
Ma qui trovai di peggio. L’afa e il puzzo avevan cacciati tutti su, non ci avevo mai visto tanta gente: era una folla densa dalle cucine fino alla punta di prua, e tutti irrequieti, come se aspettassero un avvenimento, e straordinariamente arruffati, scomposti nei vestiti, e sudici, come se da vari giorni non fossero più andati a dormire. Si vedeva che n’avevan tutti fin sopra ai capelli del mare, del piroscafo, della cucina e del regolamento, e che sarebbe bastato un nulla a farli uscire dai gangheri. Nessuno giocava, non si sentiva cantare. Perfino il gruppo dei belli umori del castello centrale era muto: il contadino snasato dormiva, il cuoco enciclopedico passeggiava solo, l’album pornografico del portinaio non aveva lettori: soltanto il barbiere veneto faceva sentire di tratto in tratto il suo ululato lamentevole di cane abbaiante alla luna, col quale pareva che esprimesse il sentimento comune di quella moltitudine. E gli emigranti affollati verso poppa guardavano le porte del salone e i passeggieri di prima con un occhio più torvo del consueto, in cui si leggeva che quella mattina ci avrebbero