< Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

La giornata del diavolo 327

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:331|3|0]]con le vele gonfie, dorato dal sole, fumante e festoso, che pareva balzato come un prodigio dal seno dell’oceano. Era il Dante, della stessa società di navigazione del Galileo, proveniente dal Plata, diretto in Italia, carico di emigrati che tornavano in patria. Era il primo grande piroscafo che incontravamo dopo l’uscita dal Mediterraneo, ed era un fratello. Ad ogni sbuffo dei suoi grandi fumaioli stellati, ingigantiva, e apparivano più nette le mille figure umane che lo coronavano. Le due moltitudini, affollate sulle due prue, si guardavano in silenzio; ma tutti fremevano. Il Dante ci s’avvicinò tanto che un’improvvisa ondata ci fece rullare violentemente. Quando fu alla massima vicinanza, a portata di voce da noi, presentandoci tutta la lunghezza del suo fianco superbo, un altissimo grido, da molto tempo trattenuto, proruppe quasi ad un punto dallo due folle, accompagnato da un frenetico sventolio di cappelli e di fazzoletti; un grido interminabile d’augurio e d’addio, d’un accento strano, diverso da ogni altro grido di popolo che avessi inteso mai, uno scoppio di voci violente e tremanti, in cui si espandevano e si confondevano le tristezze del viaggio, il rimpianto della patria, la gioia di rivederla tra breve, la speranza di ri-

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.