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352 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:356|3|0]]richiamarlo in vita, ed io lo lasciai all’ufficio pietoso.
A stento salii nel salone dov’eran già molti passeggeri: il marsigliese, il mugnaio, il toscano, il commesso parigino, il prete lungo, ed altri. Nessuna signora. Balenavano ancora dei lampi; ma il tuono scoppiava più rado e più lontano; il mare sempre gonfio e nero, e nessuno poteva reggersi ritto. Mirabile natura umana! Dal modo d’atteggiarsi delle persone già si vedeva che anche quell’avvenimento della tempesta era convertito a soddisfazione d’amor proprio, come se il non essere andati a fondo fosse stato effetto del valor personale di ciascuno, e tutti pregustassero fin d’allora l’orgoglio con cui, molto tempo dopo, per tutta la vita, avrebbero raccontato d’aver fatto fronte a quel pericolo senza paura. Era stupefacente la disinvoltura con cui più d’uno, che avevo visto pallido come un moribondo, si metteva la maschera dei coraggio in faccia a coloro stessi a cui sapeva d’aver mostrato poco innanzi i segni visibilissimi del terrore. Alcuni mutavan qualche passo da un tavolino all’altro, facendo ostentazione di piede marino, e ridevano a tutti i propositi con le labbra ancora senza sangue.