< Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

In extremis 331

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:359|3|0]] sionevole d’una folla fuggita per quindici giorni dinanzi a un esercito invasore. Il Commissario, che era sceso più volte nei dormitori, ci fece delle descrizioni da stringere il cuore e da vincer lo stomaco. Aveva visto là sotto delle masse intricate di corpi umani, gli uni sopra e di traverso agli altri, con le schiene sui petti, coi piedi contro i visi, e le sottane all’aria; viluppi di gambe, di braccia, di teste coi capelli sciolti, striscianti, rotolanti sul tavolato immondo, in un’aria ammorbata, in cui d’ogni parte suonavano pianti, guaiti, invocazioni di santi e grida di disperazione. Delle donne inginocchiate in gruppi, con le teste prone, dicevano il rosario, picchiandosi il petto; alcune facevano ad alta voce il voto di andare scalze a certi santuari, appena fossero ritornate in patria; altre volevano ad ogni costo confessarsi, e pregavano piangendo il Commissario che mandasse a chiamare il frate; il quale intanto stava confessando parecchi nel dormitorio degli uomini. Varie donne avevan domandato supplicando che le lasciassero andare a salutare l’ultima volta i loro mariti prima di morire, e altre di poter salire un momento in coperta, un momento solo, per gettare in mare un’immagine di santo o una crocetta che avrebbero calmate le onde. Ce n’era

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.