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366 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:370|3|0]]capiva che non faceva quel viaggio per la prima volta: che si guardassero dagli argentini, dai faccendieri della colonia italiana, dai Consoli, dai protettori di tutte le tinte, ch’eran tutti d’accordo, tutti farabutti che tiravano a ingrassarsi a spese dell’immigrazione. Badassero sopra tutto, sbarcando, ai bagagli, ch’eran rubati a man salva; tenessero d’occhio le mogli e le figliuole, chè s’eran dati dei casi nefandi, delle violenze consumate dagli agenti del governo, alla faccia del sole, sotto gli occhi dei padri e delle madri. E niente asili, ch’eran baracche sconquassate, dove ci pioveva nei letti, e non davano da sfamarsi, o mettevan nella minestra delle porcherie che istupidivano, che riducevano un uomo a non saper più fare il più semplice conto, e allora venivano innanzi le birbe a proporre i contratti. — All’erta, figliuoli! — gridava, — all’erta bene. o sarete assassinati peggio che in patria! Guai a chi si fida! — Ma non era il solo che arringasse: altri crocchi qua e là stavano intenti ad altri oratori, sorti lì per lì, quella mattina. Sul castello centrale teneva conferenza l’ex cuoco dottore, dilettante d’ocarina. Egli ne aveva visto d’ogni colore, sapeva ogni cosa, aveva un consiglio franco e sicuro per tutti, in qualunque parte dell’America andassero, come se in ogni parte