Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
90 | sull'oceano |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu{{padleft:94|3|0]] così ardente, d’adorazione così umile, che avrebbe strappato un’occhiata di compassione a una donna di marmo. Aveva l’aria d’esser solo a bordo: portava una cintura di cuoio giallo ai fianchi, che doveva contenere tutto il suo peculio. L’osservai per un pezzo, e sempre lo vidi con quegli occhi fissi, umidi, animati di un leggerissimo sorriso triste, come di pietà per sé stesso, e con tutta la persona immobile, nell’atteggiamento di chi si contenta d’ammirare, e non aspetta nè spera nulla, e starebbe lì per la vita. In tutto quel tempo, la ragazza non mostrò d’accorgersi di lui. Egli languiva là, solitario, come uno stilita sulla colonna, e il calore della sua povera fiamma ignorata andava disperso nello spazio come il fumo del Galileo.
Di là andai sul castello di prua, che era pieno di gente. Salendo, intesi dire accanto a me: — Già, vegnen, chi al teater. Quel vegnen era per me, naturalmente. Qui fui accolto peggio che altrove, con occhiataccie e con voltate di spalle, e non con questo soltanto: sub terris tonuisse putes. Mi venne in mente, e non in’ingannavo, che fosse quella una specie di montagna, dove si accogliessero gli emigranti di idee più rivoluzionarie, quelli che avevan bisogno