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dopo una mezz'ora di

lavoro silenzioso, e buttati da canto tavolozza e pennelli, levatosi in piedi e indietreggiando di qualche passo con una mano sugli occhi a guisa di visiera, si mise ad esaminare l'opera propria. Luigi Albani lasciò anche lui di misurare in tutti i sensi il cranio che teneva ancora sulle ginocchia, lo posò sulla mensola, vi adattò sopra il suo cappello e si fece incontro all'amico.

— Dunque, ti piace davvero? — chiese il pittore.
— È un imbratto.

Il Natali lo guardò un istante. Poi, scrollando le spalle:

— Ah, sì; hai ragione! Dimenticavo di parlare col maestro Albani.
— Cioè, col critico più acuto dell'ex-regno delle Due

Sicilie, — rispose l'altro, senza scomporsi. E avvicinatosi al quadro, accompagnando le proprie parole con gesti sobrii e compassati, riprese:

— Prima di tutto, questa lava è di cioccolata; come réclame nelle

scatole del Suchard sarebbe impagabile. Poi, il cielo è oleografico e le nuvole sono di bambagia. Toccale, e vedrai che si sfilaccicano. Ora, bisognerebbe parlare del soggetto....

— Eh! parliamone pure! — esclamò i
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