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parole; facevo i miei conti senza il signor Mendosa, il

padrino del Vialli. Un avvocato in tribunale, un diplomatico incaricato di negoziare un trattato, non è più minuzioso, più meticoloso, più circospetto, più attaccato alle forme di quel che egli era. Io non avevo una gran pratica di queste cose; ma parevami che vi fosse poco da discutere. La qualità delle offese, il modo con cui erano state fatte, quale fosse la più grave, a chi toccasse la scelta delle condizioni, le condizioni stesse: tutto fu soggetto di lunghi dibattimenti. Prevedevo che, con quella specie di contradditore, avrei avuto molto da fare sul terreno. Come Dio volle, si stabilì che lo scontro, alla spada, a discrezione dei dottori, sarebbe avvenuto il domani alle otto del mattino.

«Lasciai, la sera stessa, un biglietto dal portiere del conte, e il domani, alle sette, insieme col barone Narconi, passai da casa sua. Fummo introdotti in una sala di studio e il domestico passò ad annunziarci. Aspettammo, aspettammo: non veniva nessuno. Ci guardavamo l'un l'altro, non sapendo che cosa pensare. Ad un orologio vicino suonarono le sette e un quarto. E non veniva nessuno. È difficile farsi un'idea dell'imbarazzo in cui lo stranissimo caso ci metteva. Bisognava prendere una risoluzione

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