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storia d’un’anima 107

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Bruscamente una pagina bianca interrompeva ancora il giornale: sulla seguente una sola riga era scritta:

«Padre, padre mio, vivi! Vivi per me!...»

E null’altro. Il Ferpierre quasi udiva il grido della disperata preghiera che al capezzale del padre agonizzante rompeva dal petto della figlia devota. Invano: nella pagina successiva una ciocca di capelli grigiastri era passata fra due tagli del foglio, con una data al margine: 3 giugno 1886. Poi il libro era pieno di memorie del morto: la contessa affidava a quelle pagine i più cari suoi ricordi di figlia con un dolore così cocente ma confortato dalla cristiana speranza, che, a certi passaggi, pareva parlasse ancora del padre vivo, come al principio del libro. Ma il giudice percorreva rapidamente quelle pagine, impaziente d’arrivare al dramma che presentiva immancabile.

Col tempo, con la vecchiezza del marito, con le seduzioni del mondo, non era fatale che la calma felice di quella donna finisse? Come avrebbe ella parlato della tentazione?

Non ne parlava. Il diario aveva però una lacuna maggiore delle precedenti; la scrittura appariva, dopo un’interruzione, ancora più modificata; e il senso delle nuove note riusciva incomprensibile.

«.... Io ne sono sicura. Le sue parole mi ritornano tutte alla memoria.

Allora ne sorridevo, ne insuperbivo: oggi pago la superbia d’un tempo.

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