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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Roberto - Spasimo.djvu{{padleft:162|3|0]]cielo si era oscurato; ella guardava i grigi vapori che salivano su per le coste dei monti e ne sbiadivano il verde; guardava il lago grigio e increspato come piombo che si liquefa; gli alberi piegarsi sotto il vento, perdere le prime foglie. Io ripensavo il suo pensiero elegiaco dinanzi alla visione autunnale. Le dissi: «Il colore che pare del cielo nei nostri occhi. L’azzurro è nero nella tristezza; nella letizia il grigio è celeste.» Una nube azzurrina fra i vapori cenerognoli pareva uno squarcio di cielo. Ella soggiunse: «Sì, ma è un inganno; il cielo è chiuso.» Replicai: «Fra breve si schiuderà.» A poco a poco tutto il paesaggio si era velato, tutti i colori erano scomparsi; non si vedevano altri toni che di bianco e di nero: i monti neri, le acque plumbee, le spume argentine, le nebbie cineree, nuvole candide, nuvole pallide, nuvole ferrigne. Ella disse: «Non pare un acquerello?» Assentii. Soggiunsi: «È altrettanto bello così come quando il sole risplende.» Parlai ancora. Dissi che una luce interiore illuminava tutta la mia vita, che io non vedevo se non forme della bellezza, ovunque. La sua bellezza pallida era meravigliosa, pareva tutta dipendere dal pallore delle cose circostanti. Presi la sua mano. Un calore di vita fluiva dalla sua mano per tutto il mio corpo. Ella la ritrasse impallidendo ancora. Non dissi nulla, ma il pianto mi

gonfiò gli occhi. Disse ella: «Comprendete che bisogna lasciarci.» Risposi:

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