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176 | spasimo |
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«Luce del mondo, vita dell’anima, sorriso della grazia, porto della salute, volete voi udire ciò che nessun vivente udì mai? Mai nessun vivente seppe chi sono. Io non ebbi madre, io non ebbi sorella. Non me ne dolgo, ne sono altero e superbo, perchè ora a voi prima, ora a voi sola potrò svelare il cuor mio...»
Ed egli le si confessava, candidamente: le diceva che era un infermo, un fanciullo, un pazzo bisognoso di cure e d’amore; che l’apparente suo coraggio nascondeva una paura infantile, che nella superbia era umile, che odiando amava, che le lacrime della pietà erano in lui represse dai sorrisi dello scherno, che trascorreva dall’uno all’altro estremo con una dolorosa inquietudine, con un’ansia tormentosa, col bisogno nostalgico d’una immutabile serenità.
«L’amor vostro sarà la salvezza, la pace, il porto, la terra promessa, il paradiso perduto e ritrovato. Amatemi come ho bisogno d’essere amato, come si amano i bambini e le bestie, d’un amore che sia indulgenza, pietà, consolazione, lenimento e soccorso...»
Se la contessa d’Arda non era riuscita nell’opera bisognava darne a lei la colpa? Rammentando il diario della morta e le stesse confessioni del principe, il Ferpierre doveva ammettere che la colpa non era stata della
contessa ma dello stesso Zakunine. Forse se ella lo avesse conosciuto prima,