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l’inchiesta | 201 |
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— Avevo parlato con lui, veramente, ed a lui toccava rispondere... — osservò il Ferpierre con un’ambigua mossa del capo, come insospettito dallo zelo della donna. — Ma poichè voi siete così bene informata di ciò che accadde tra loro mentre prima negaste d’occuparvi di queste cose, ditemi un poco se questo dovere della franchezza fu da lui compito una buona volta; perchè, da altre deposizioni, mi risulta che fino alla vigilia della catastrofe alla contessa non era stata restituita la sua parola, anzi che ella si sentiva più che mai legata.
— Ciò non accadde fra loro due soltanto: fui presente anch’io.
— Quando?
— Il giorno della morte, la mattina stessa. Giacchè bisogna dir tutto, vi dirò perchè mi trovai in quella casa. Sapevo che l’ultima spiegazione doveva avvenire, aspettavo con impazienza che egli me ne riferisse l’esito. Non vedendolo tornare, venni io. Egli esitava ancora, come presago di farle male. Allora gli suggerii di scriverle; quest’idea gli piacque. Eravamo nello studio di lui, credevamo di non essere uditi, quando ella apparve. Disse parole amare, contro di lui, contro di me. Egli se ne sdegnò, dimenticò la pietà, la accusò di spiarlo, le dichiarò che partiva per non tornare mai più. Ella disparve. Restammo a preparare
le sue cose. Poco tempo dopo udimmo il colpo. Questa è la verità.