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la confessione | 217 |
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A questo punto il Ferpierre si proponeva un nuovo quesito. Se ella era colpevole, come mai il principe, vedendo pesare anche sopra sè stesso l’accusa, non si scagionava rivelando la verità? Certo egli sperava salvarsi con lei avvalendosi di tutti gli argomenti che stavano per il suicidio: voleva salvarla per amore, per compassione, o piuttosto per quel sentimento di fratellanza che la fede comune doveva suscitare e alimentare. Questo medesimo sentimento, se l’omicida fosse stato il principe, non avrebbe dovuto animare la nihilista? Era da credere. Ma che cosa sarebbe avvenuto se l’innocente, chiunque fosse dei due, avesse perduto ogni speranza di salvarsi con il colpevole? Se ciascuno degli accusati si fosse visto irremissibilmente perduto, non era certo che l’innocente non avrebbe più trovato tanto eroismo da salvare il colpevole, oppure che il colpevole stesso non avrebbe più sofferto di trascinare con sè l’innocente?
In forza di tale ragionamento il Ferpierre volle tentare una prova. Egli pensò di richiamare successivamente i due accusati per dire a ciascuno che tutti i sospetti pesavano oramai sull’altro; dal loro contegno avrebbe forse potuto trarre qualche prova della verità.
Ed anche una volta ricominciò l’interrogatorio della Natzichev.
Costei occupava ancora il suo tempo leggendo