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la lettera 239

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Roberto - Spasimo.djvu{{padleft:251|3|0]]al pubblico dibattimento, solo il Vérod restava nell’ansia.

Se dinanzi al cadavere di Fiorenza egli aveva sentito schiantarsi il cuore, se all’incredibile idea di non vederla mai più era stato sul punto d’impazzire, se l’impotenza di vendicarla lo aveva roso, se la paura di averla egli stesso fatta morire era venuta ad aggravare con l’atroce rimorso il suo già troppo grave dolore, egli poteva credersi giunto al termine delle prove crudeli; ma un nuovo orrore lo aveva tosto occupato. Nel punto d’accusare i due Russi egli aveva già sentito un secreto imbarazzo, come una paura di rivelare la sua amicizia per la contessa; ma il sentimento di morale pudore che gl’impediva di narrare quest’intima storia era rimasto soffocato e vinto dall’impeto vendicativo. Narrandola, egli aveva temuto che il magistrato non credesse alla purezza della passione infelice; ma, anche dimostrata questa purezza, gli era parso come di macchiarla. Aveva egli diritto di rivelare il secreto d’un’anima? Se quest’anima aveva nascosto non solamente agli altri ma quasi a sè stessa il proprio secreto, poteva egli rivelarlo? Ed egli, egli che sapeva gli scrupoli dell’anima adorata, che li aveva compresi e rispettati, a questo ora riusciva: che tutti parlavano di lui come d’un nuovo amante della morta....

Portando l’accusa egli non aveva pensato che un giorno le cose dette al

magistrato si sarebbero

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