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60 | spasimo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Roberto - Spasimo.djvu{{padleft:72|3|0]]pareva d’esserle ancora d’accanto; poi, girando lo sguardo ansioso, la solitudine lo sgominava, l’orrore s’aggravava su lui. Andava, andava, ignaro della sua via, per respirare: l’immobilità lo avrebbe soffocato. Su per l’erta di Losanna, oltre la Croce, una carrozza lo avanzò. Allora egli fermossi, tremando.
Su quella via, in quel punto, alla stess’ora, egli l’aveva vista la prima volta apparire; un anno addietro, mentre errava per quella via, ella era passata, forse in quella stessa carrozza. L’imagine risorse in lui così viva, che ne fu abbagliato.
Che faceva egli a quel tempo? Che pensava? Che aspettava? Grigia, disutile, vuota era la vita sua a quel tempo. Trentaquattro anni, non rughe sulla fronte; ma quante nell’anima! Il chiuso pensiero, l’assiduo esame interiore, l’inveterato istinto e l’ostinato bisogno di guardare in sè stesso lo avevano avvelenato. La goccia d’acqua sembra più liquida perla quando l’occhio armato di lenti vi scorge dentro un orrido mondo? Col pensiero egli aveva guardato troppo sè stesso e le cose, e la bellezza aveva perduto ogni incanto, e della gioia egli aveva saputo il costo, e la speranza gli s’era consunta dinanzi. Una volta, in più fresca età, di quel suo genio dell’esame egli era stato superbo come d’una forza, come di una potenza; con gli anni aveva sentito che era la
miseria sua. Nel mondo delle idee gli estremi orizzonti, le cime