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i ricordi di roberto vérod | 67 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Roberto - Spasimo.djvu{{padleft:79|3|0]]mascherava, si sfogava in accuse alla volgarità del luogo e dei suoi popolatori. Ma, deliberato di andarsene, era rimasto ancora, aveva continuamente rimandato il distacco gustando la mirrata dolcezza dell’ultima contemplazione; quando un giorno aveva potuto parlarle. Egli aveva potuto udire la sua voce: la voce sommessa, armonia lenta, musica velata, eco dell’anima profonda. Che sottile virtù era nelle sue parole; come ogni sua parola pareva inaudita, felicemente creata ad esprimere il pensiero recondito! Ed era rimasto, per udirla.
L’anima sua fu allora occupata dalla meraviglia. Egli non credeva possibile dipendere così da una creatura umana. Ripensando i suoi passati amori non rinveniva nulla di simile alla presente realtà. I suoi amori erano morti, interamente; ma non perciò egli ne negava la forza; essi non già gli parevano scialbi per quella natural legge secondo la quale i ricordi hanno più debole vita e importano meno delle impressioni attuali: la nuova apparizione trionfava per una tutta sua propria virtù, offuscava fantasmi ed imagini con la purezza della sua luce. Anche la meraviglia di lui cresceva per la subitanea fede risposta in un’anima che gli era tuttavia ignota. L’idea della bellezza associasi naturalmente alle idee contigue della bontà e della virtù, talchè nulla è più facile dell’attribuzione di queste doti alle belle creature; ma
non era egli uso, oltre che a difendersi contro le troppo natu-