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i ricordi di roberto vérod | 69 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Roberto - Spasimo.djvu{{padleft:81|3|0]]volta aveva creduto, al ricordo dell’anima ingenua che era morta in lui, alla speranza di poter credere ancora per essere più vicino a lei, per comunicare con lei, come aveva pianto di dolce tristezza e di trepida gioia!
Un giorno, da Evian, l’aveva guidata a una cappella dove celebravano una festa che chiamava a torme i credenti dai luoghi più lontani: anche egli aveva chinato la dubitosa fronte come tutti quegli umili, come lei; ma non soltanto per seguire l’esempio della fedele, per nascondere a un tempo il pianto che lo accecava. Un’altra volta, sulla montagna, ella erasi fermata dinanzi a una cappelletta alla porta tarlata della quale stava infissa la grossa chiave rugginosa; con la debole mano bianca cercava di schiudere quella porta, inutilmente. Egli stesso l’aprì, e nell’atto che schiudeva alla pia il varco del sacro luogo, egli pensava come grande fosse la secreta forza di quella debolezza apparente: quando la povera mano s’era stancata invano e pareva aver dovuto rinunziare all’intento, il muscoloso braccio era stato spinto a vincere per lei l’ostacolo. E allora egli aveva sentito struggersi dal bisogno di baciare quella mano addolorata, di baciarla devotamente sul dorso, di baciarla avidamente sulla palma; dal bisogno di sentirsi imporre la miracolosa mano sulla fronte infiammata. Non era la dolce mano
soccorrevole e salutare? Non l’aveva egli vista un giorno me-